Ogni fase del caregiving è caratterizzata da differenti bisogni dell’assistito e del caregiver. Conoscerle anticiptamente può aiutare a gestire meglio la cura e il benessere del caregiver.
Il caregiving è un processo che può essere suddiviso in più fasi, ognuna delle quali riflette il mutare della natura e dell’intensità del bisogno, così come dell’impegno richiesto al caregiver. Questi cambiamenti si sviluppano parallelamente all’evolversi delle condizioni di salute dell’assistito, alla durata dell’assistenza e alla tipologia di supporto necessaria.
Diversi studi hanno classificato l’esperienza del caregiving – o, forse più opportunamente, il lavoro di caregiving – in un numero variabile di fasi. Tuttavia, tutte le classificazioni partono da una fase iniziale, in cui ci si rende conto che una persona cara potrebbe presto aver bisogno di aiuto, fino ad arrivare alla fase di elaborazione del lutto. Vi è poi un’ulteriore fase, nella quale io stessa mi trovo attualmente, caratterizzata dal desiderio di trasformare questa esperienza in qualcosa che vada oltre la sola fatica vissuta, per diventare utile anche ad altri.
Come ha osservato Rosalynn Carter, moglie dell’ex Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, il caregiving è una condizione universale: “vi sono al mondo quattro tipologie di persone: quelli che sono stati caregiver, quelli che sono caregiver, quelli che lo saranno e quelli che avranno bisogno di un caregiver”.
Fonte: Rosalynn Carter Institute for Caregivers.
L’esperienza del caregiving è influenzata da molteplici fattori: il tipo di malattia della persona assistita, il grado di familiarità tra caregiver e assistito, la qualità della relazione (non sempre positiva, e quindi potenzialmente ostacolante), i rapporti con altri caregiver familiari (che non sempre condividono le stesse decisioni), la condizione lavorativa, la distanza fisica, l’entità dell’impegno quotidiano, le disponibilità economiche di entrambe le parti e molti altri elementi ancora.
In linea generale, nella fase iniziale il caregiver informale ha soprattutto bisogno di informazioni. Con il progredire della malattia e dell’assistenza diventano invece fondamentali il supporto pratico, la comprensione degli aspetti tecnici (e quindi una formazione adeguata), l’aiuto nelle decisioni e, infine, il sostegno psicologico durante e dopo l’esperienza di caregiving.
Ma a cosa servono, in concreto, gli studi dedicati alle diverse fasi del caregiving?
Indipendentemente dalla classificazione adottata e dal numero delle fasi individuate – per esempio, il Rosalynn Carter Institute for Caregivers ne distingue dieci, mentre l’associazione europea Eurocarers ne individua sei – tutte queste classificazioni risultano utili, perché aiutano a definire i bisogni specifici del caregiver. Comprendere tali bisogni in anticipo consente di individuare strategie adeguate per alleggerire i compiti e migliorare la propria condizione.
L’associazione europea dei caregiver suddivide l’esperienza in sei fasi, consultabili in dettaglio alla pagina Eurocarers – The stages of caregiving.
Di seguito espongo i bisogni e i suggerimenti principali per ciascuna fase, parzialmente tratti dalla letteratura e parzialmente frutto della mia esperienza personale, adottando la classificazione di Eurocarers.
1. Nel prossimo futuro potrei dover aiutare un familiare o un amico
Non tutte le malattie e i bisogni di assistenza si manifestano gradualmente: può capitare di trovarsi improvvisamente a dover fornire un’assistenza intensiva e a dover reperire informazioni e soluzioni in tempi brevissimi.
Più spesso, però, si inizia a notare che la persona anziana non è più quella di una volta: appare più stanca, più lenta o mostra i primi segni di un decadimento fisico o cognitivo.
Non di rado i figli faticano ad accettare la nuova condizione dei genitori e l’inversione dei ruoli. Come evidenzia Morais et al. (2024), il concetto di filial maturity descrive proprio questa transizione psicologica necessaria per affrontare il caregiving.
Spesso, come è accaduto a me, si tende a rimandare il pensiero al momento in cui sorgerà il primo vero problema. Ricordo bene quando mio fratello mi avvertiva, osservando i suoi amici alle prese con i genitori, che presto sarebbe toccato anche a noi. Persino i miei genitori e mia zia erano dispiaciuti, sapendo che a breve avremmo dovuto sostenerli tutti e tre. Ma io rispondevo che me ne sarei occupata quando sarebbe successo.
In realtà, questo è il momento ideale per guardare in faccia la realtà e prepararsi: raccogliere documenti, individuare numeri utili, parlare con i genitori dei loro desideri in merito a cure, residenza e qualità di vita. Considerati i lunghi tempi di attesa, è opportuno in questa fase presentare eventualmente domanda presso strutture residenziali, anche solo come forma di sicurezza.
I familiari caregiver dovrebbero inoltre valutare le disponibilità finanziarie dell’assistito e il contributo che ciascun familiare può fornire.
Finché è possibile, è importante mantenere attiva la persona assistita, sia fisicamente che mentalmente, attraverso passeggiate, giochi di società, lettura e attività simili.
2. Sto iniziando ad aiutare un familiare o un amico
In questa fase, se si è fisicamente vicini, si comincia ad assistere più volte alla settimana con attività come la spesa, la preparazione dei pasti, il pagamento delle bollette e simili.
Se si vive lontano o se si hanno le possibilità economiche, è già utile valutare un aiuto esterno.
Diventa importante acquisire informazioni sulle patologie che affliggono la persona assistita. Per i caregiver informali retribuiti, risulta evidente la necessità di una formazione adeguata.
È altrettanto utile raccogliere informazioni dal personale sanitario, da caregiver con esperienza o da amici che affrontano sfide simili. Va inoltre adattato l’ambiente domestico alle nuove esigenze dell’assistito. Si inizia notare che il palazzo non ha l’ascensore, che i sanitari nel bagno sono distribuiti in modo che ostacola la gestione dell’assistito… E’ utile iniziare a informarsi sui possibili sussidi per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Forse proprio in questa fase è necessario affrontare un aspetto che può trasformarsi in un grande problema. Infatti, se la persona è immobilizzata o presenta un lieve disturbo cognitivo, non può o molto presto non potrà più svolgere autonomamente un gran numero di azioni per le quali è richiesta la sua firma/autorizzazione. Questo problema è particolarmente complesso, poiché le persone anziane senza disturbi cognitivi tendono a non voler rinunciare al diritto di gestire autonomamente la propria vita e, soprattutto, temono che una cattiva gestione delle proprie finanze da parte di terzi possa compromettere la loro capacità di soddisfare i bisogni quotidiani. D’altra parte, per le persone non autosufficienti sorge la necessità di ottenere la procura o le deleghe in varie situazioni, mentre nel caso di chi ha problemi cognitivi si rende necessario nominare un amministratore di sostegno o un tutore, il che può richiedere tempi lunghi.
In questa fase è consigliabile entrare in contatto con comunità di caregiver e associazioni dei pazienti, anche online. Tuttavia, a mio avviso, bisogna fare attenzione: se da un lato la condivisione aiuta, dall’altro può diventare un “mondo chiuso” di dolore e sofferenza. È importante ricordarsi che fuori esiste anche un mondo fatto di nascite, lauree, amori e momenti belli.
Per questo motivo, continuate a coltivare i vostri hobby, uscite e concedetevi attività che vi permettano di svagarvi.
3. Sto aiutando un familiare o un amico
A questo punto il caregiver inizia a sentirsi stanco: l’intensità dell’assistenza è cresciuta e dura da tempo. Le attività diventano più pesanti (igiene personale, alimentazione, spostamenti).
Se non lo avete già fatto, cercate supporto da strumenti e dispositivi che possano alleggerire l’impegno, oltre che da persone: badanti retribuite, amici, conoscenti o vicini. Nel mio caso, i vicini di casa hanno rappresentato un aiuto prezioso con brevi visite, che portavano allegria e un senso di normalità.
A volte ci si sente in colpa ad allontanarsi dall’assistito o si fatica a uscire dalla “comfort zone” del dolore. È una sensazione comune, ma non bisogna lasciarsene intrappolare. Io stessa, alla mia prima esperienza, dopo giorni di chiusura in casa, uscii per incontrare le amiche: dopo 200 metri tornai indietro.
Ricordatevi la regola delle maschere d’ossigeno sugli aerei: prima a voi, poi agli altri. Se provi ad aiutare qualcun altro (ad esempio un bambino o una persona accanto) prima di indossare la tua maschera, rischi di svenire e non poter aiutare nessuno. Se non vi prendete cura di voi stessi, non potrete aiutare gli altri. Mantenete dunque i vostri spazi personali, anche se non è facile.
Per la parte pratica, aiutatevi con agende e strumenti di pianificazione: oggi sono disponibili modelli scaricabili in tutte le lingue.
In questa fase ho avuto delle conversazioni con mio padre che, dopo la sua morte, mi hanno aiutata molto a trovare la pace: parlavamo di tutto. Era una persona meravigliosa e un malato riconoscente. Essendo anche un grande intellettuale, abbiamo discusso del senso della vita, della paura della morte, della spiritualità e della fede.
4. Il mio ruolo sta cambiando
In questa fase si avverte che il momento del saluto si avvicina.
È naturale rifiutare l’idea che la vita stia volgendo al termine, ma è importante mantenere realismo, rispettare le volontà dell’assistito e prepararsi anche sul piano pratico.
In questo momento, iniziate a pensare al vostro futuro e concedetevi un riconoscimento: ditevi che siete stati bravi e magari fatevi un regalo.
5. La mia assistenza è terminata
Per fortuna, nel mio caso il ruolo non è ancora finito, ma le esperienze passate mi hanno spinta a voler condividere ciò che ho imparato, sperando che possa essere d’aiuto.
Ricordate sempre: nulla è per sempre.
Per quanto faticoso e sfidante, il caregiving è un ruolo temporaneo che, nonostante tutto, offre l’opportunità di dare e ricevere amore.
Foto: Pexels – Leiliane Dutra
Per approfondimenti:
· Carter, R. (s.d.). Caregiver profiles. Rosalynn Carter Institute for Caregivers. Recuperato da https://rosalynncarter.org/caregiver-profiles/
· Eurocarers. (s.d.). The stages of caregiving. European Association Working for Carers. Recuperato da https://eurocarers.org/the-stages-of-caregiving/
· Huang, H. L., Shyu, Y. I. L., Chen, M. C., et al. (2015). Family caregivers’ role implementation at different stages of dementia. Journal of Clinical Gerontology and Geriatrics, 6(2), 48–54. https://www.sciencedirect.com/
· Kokorelias, K. M., Gignac, M. A. M., Naglie, G., & Cameron, J. I. (2020). A grounded theory study to identify caregiving phases and support needs across the Alzheimer’s disease trajectory. BMC Geriatrics, 20(1), 1–13. https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/
· Masterson, M. P., Hurley, K., Zaider, T. I., Kissane, D. W., et al. (2015). Toward a model of continuous care: A necessity for caregiving partners. Palliative & Supportive Care, 13(6), 1501–1509. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/
· Md Khalid, N., et al. (2025). Life transition stages of family caregivers for patients with chronic illness: A grounded theory study. BMC Palliative Care. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/
· Morais, D., Faria, C., & Fernandes, L. (2024). Filial maturity and caregiving to aging parents. Geriatrics, 9(1), 17. https://doi.org/10.3390/geriatrics9010017
· Penrod, J., Hupcey, J. E., Shipley, P. Z., Loeb, S. J., & Baney, B. (2011). A model of caregiving through the end of life: Seeking normal. Journal of Nursing Scholarship, 43(2), 121–128. https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/
· Wong EL, Lau JY, Chau PY, Chung RY, Wong SY, Woo J, Yeoh EK. Caregivers’ Experience of End-of-Life Stage Elderly Patients: Longitudinal Qualitative Interview. Int J Environ Res Public Health. 2022 Feb 13;19(4):2101. doi: 10.3390/ijerph19042101
Disclaimer
Questo post nasce dal mio vissuto personale di caregiver. Non sono una psicologa né una professionista della salute: ciò che condivido è frutto della mia esperienza diretta, unito a spunti tratti dalla letteratura che ho consultato.
Alcune riflessioni seguono classificazioni proposte dagli studi, ma gran parte dei pensieri che leggerai sono opinioni personali, maturate lungo il mio percorso.
Se stai vivendo una situazione simile, spero che le mie parole possano offrirti conforto o spunti di riflessione, ma ricorda: per questioni mediche, psicologiche o legali è sempre importante rivolgersi a professionisti qualificati.
